02/10/17

G.G. Belli e Napoli

Appena le condizioni economiche glielo permisero, Giuseppe Gioacchino Belli  cominciò a viaggiare
Dopo un' adolescenza difficile, funestata da gravi problemi economici, che lo obbligarono a vivere lunghi anni da travet, finalmente la ruota della fortuna girò anche per Lui! 
Anno della svolta è il 1816, quando, conosce e sposa la benestante contessa Mariuccia Conti. 
Il matrimonio porta una discreta agiatezza economica che permette al Belli di dedicarsi con tranquillità all'attività poetica e ai tanto amati viaggi.  
Rimanevano però gli obblighi derivanti dal modesto impiego che occupava. Dal 1816 Belli era infatti impiegato come commesso nell'Ufficio del Bollo e Registro di Roma diretto dal conte Vincenzo Pianciani, amico della moglie.
Finalmente, dal 1827 al 1842 riuscì, grazie ad un regolamento interno, ad ottenere la "quiescienza interinale", cioè in sostanza un'apettativa per motivi di salute, che lo autorizzava a non presentarsi più in ufficio, sebbene continuasse a percepire lo stipendio!  
[Per approfondire  vai alla Mostra digitale su G.G.Belli, impiegato dell''amministrazione pontificia 1807-1845]

Belli inizia a viaggiare
Così, Belli, finalmente libero dalla routine di un impiego, verso cui non provava interesse, può incrementare la passione per i viaggi. 
Aveva già cominciato a muoversi da Roma dal 1817-1820 per curare gli interessi  dell'Accademia Tiberina di cui era socio fondatore, e poi quelli della famiglia della moglie nelle Marche recandosi a Macerata, Ripatransone, e poi in Umbria a Terni e a Spoleto. 

I pericoli del viaggio a Napoli
Ma il suo primo vero viaggio, a lungo desiderato, ha come metà Napoli. 

Ricordiamo che nel 1798 la famiglia Belli si era dovuta rifugiare  a Napoli, per ragioni politiche, in seguito alla proclamazione della Repubblica dei Francesi, tentativo a cui prende parte un cugino del padre Gaudenzio, tale Gennaro Valentini, che verrà fucilato dai francesi. A Roma, intanto, vengono confiscati i beni di famiglia.

Il viaggio a Napoli era stato già programmato un anno prima, nel 1822, ma forse a causa del moti di cospirazione,  che avevano coinvolto anche questa città Belli aveva preferito rinunciare. E in una lettera scritta nel 1822, Belli addirittura parla di masnadieri, di antropofagi che infestano quelle zone. 
E il Poeta, che sicuramente non aveva un cuor di leone, preferisce rinunciare al viaggio. A tal proposito è interessante la lettera scritta un anno prima circa  i pericoli, che gli fanno rimandare questo viaggio:

A GIUSEPPE NERONI CANCELLI — S. BENEDETTO [20 aprile 1822] 

....era disposto per fare il viaggio di Napoli, insieme con un mio amico; ma come trovare il coraggio di esporsi al probabilissimo se non certo pericolo di essere colto dai masnadieri che infestano ogni dì più le sventurate provincie, per le quali è d’uopo far transito? Numerose orde di antropofagi scorrono desolando que’ luoghi, e menando in ostaggio sui monti tutti quegl’infelici che loro vanno cadendo tra’ mani. Così, io che cerco la salute, troverei la morte o di ferro, o di disagio, o di spavento, le quali tutte tre si somigliano. E quando anche il danno si ristringesse al rovinare la Casa per pagare il taglione, non sarebbe già poco. Sono tre giorni che venne in loro potere il Governatore di Napoli, il quale per la improvvisa sopravvenienza di uno squadrone di cavalleria, ebbe la grazia da Santo Jennaro di veder fuggire i suoi guardiani ed essere lasciato in camicia. Che delizie eh? Che bel secolo! 
Napoli, Banditore di vino nuovo,
1890

I giudizi su Napoli
Giunto a Napoli nel 1823, Belli così scrive a proposito della città:

 A FRANCESCO SPADA — ROMA  Napoli, 15 aprile 1823....
...Troppo fracasso pel povero Belli! Se non fosse il buon clima, e il desiderio mio di vedere i luoghi celebri che circondano questa metropoli, a quest’ora ne sarei già partito. Sto sempre fuori di me, e qualora penso a me stesso, mi sembra ricordarmi di una lontana persona. Qui non si può né pensare né scrivere, né dormire né parlare, perché il chiasso vieta tutte queste belle cose. Bella Città assai, ma non la sceglierei per la dimora della mia vita. Ho già veduto qualche antichità, e ne sono restato commosso.
A Napoli Belli non tornò più. Anche se non mancarono ricordi e riferimenti a questa città nella sua opera. 

Detti napoletani nei Sonetti
Un primo riferimento al dialetto napoletano si trova in una lettera del 1840 indirizzata a Ciro, l'unico figlio avuto dal matrimonio, dove Belli cita un proverbio napoletano: Luca fa’ priesto. 
Questo detto si riferiva al pittore Luca Giordano detto "Luca Fapriesto" ("Luca fai presto"), soprannome datogli mentre stava lavorando nella chiesa di Santa Maria del Pianto a Napoli, quando dipinse in soli due giorni le tele della crociera. Giordano in tutta la sua vita realizzò più di tremila dipinti che lo resero uno dei più acclamati e prolifici artisti del Seicento.
Il proverbio è rimasto nel linguaggio popolare per indicare: chi per troppa fretta arronza.
Luca Giordano (1634-1705)

A CIRO BELLI — PERUGIA Di Roma, 18 gennaio 1840
Fra i napolitani corre un curioso proverbio, col quale si motteggiano coloro che per troppa furia sconciano sovente le loro opere, o non le producono così perfette come avrebbero dovuto e saputo. Questi proverbialmente chiamansi colà: Luca fa’ priesto. — Il proverbio però viene da un famoso pittore, chiamato Luca, il quale non era soggetto da beffe. Purtuttavia se ne valgono in oggi per mortificare i galoppatori e i pasticcioni, che appagansi di un falso bagliore di orpello.

Il secondo riferimento al dialetto napoletano è in una frase messa in bocca al predicatore del sonetto intitolato  Er predicatore, tale Gioachino, che agitandosi nella predica aveva dato un cazzotto al pulpito così forte che il protagonista del sonetto gli aveva urlato: «Ppòzzi èsse impiso!», cioè possa tu essere impiccato!

Sonetto dedicato al viaggio.
Er viaggiatore 
È un gran gusto er viaggià! 
St’anno sò stato sin a Castèr Gandorfo co Rrimonno. 
Ah! cchi nun vede sta parte de Monno 
nun za nnemmanco pe cche ccosa è nnato. 
Cianno fatto un ber lago, contornato
 tutto de peperino, e ttonno tonno, 
congeggnato in maggnera che in ner fonno 
sce s’arivede er Monno arivortato. 
Se pescheno llí ggiú ccerte aliscette, 
co le capòcce, nun te fo bbuscía, 
come vemmariette de Rosario. 
E ppoi sc’è un buscio
indove sce se mette un moccolo sull’acqua che vva vvia:
e sto bbuscio se chiama er commissario (1).

[Versione. Il viaggiatore. E' un gran piacere viaggiare! Quest'anno sono stato fino a CastelGandolfo con Raimondo. Ah! chi non vede questa parte del mondo non sa nemmeno per che cosa è nato. Ci hanno fatto un bel lago, contornato tutto da peperino, e intorno fatto in modo tale che nel fondo si specchia il Mondo rivoltato. Si pescano laggiù certe alicette, con le teste, non ti dico bugie, come i grani del Rosario. E poi c'è un buco dove ci si mette un moccolo sull'acqua che va via e questo moccolo  si chiama Commissario]

Roma, 16 novembre 1831 - Der medemo 


1) L’emissario del lago Albano. Chi lo visita, si diletta di mandarvi dentro dei moccoletti accesi sostenuti da pezzetti di legno galleggianti sull’acqua che vi s’interna.