17/10/17

G.G. Belli e lo scrivano pubblico

 Scrivano pubblico
a Portico d'Ottavia

E. Meyer  -1829
Intorno a Roma si estendeva una fascia di terra larga da 2 a 4 miglia, densamente coperta di orti e vigne.
Poi iniziava l'Agro romano: con 262 tenute divise fra proprietari laici, corporazioni religiose ed opere pie, aristocrazia, enti ecclesiastici, borghesi. 
Dopo l'Agro si entrava nella Campagna Romana.  E in mancanza di industrie,  l'agricoltura era la base principale della vita economica di queste zone spesso spopolate e dai metodi arretrati.
Perciò intorno a Roma gravitava tutto un vasto mondo agricolo, da cui dipendeva l'importante rifornimento delle derrate alimentari.

Contadini e latifondisti a piazza Montanara.
Così spesso a causa delle pendenze amministrative con i proprietari terrieri  affluivano quotidianamente in città un gran numero di contadini, che ovviamente erano quasi sempre analfabeti, e che spesso avevano necessità di interloquire  con le autorità sia civili che religiose per ottenere concessioni e favori o (più raramente) reclamare diritti. Altri poi arrivavano in città anche per trovare lavoro nelle campagne romane. 
 Acquedotti nella 
campagna romana
 J.J. Frey, 1865.

Spesso il luogo di incontro era la piazza Montanara, posta ai piedi della Rupe Tarpea nelle immediate vicinanze del Campidoglio, delimitata in parte dal Teatro di Marcello. Oggi scomparsa.
Questa in passato era un affollato luogo di raccolta di persone provenienti dalle campagne circostanti e anche da fuori dello Stato Pontificio, che sin dalle primissime ore del mattino vi si affollavano per offrire merce e soprattutto la loro manodopera per lavori di bracciantato.
Poi, data la scarsa alfabetizzazione di questi lavoratori, era anche un luogo molto frequentato da scrivani, che prestavano la loro opera per la scritture di lettere ed altri atti di varia natura.

Analfabetismo diffuso
In questo scenario, si inserisce dunque questa figura molto familiare fino ad un secolo scorso: lo scrivano pubblico. 
Per i contadini analfabeti, e più in generale per il popolino romano, costituiva  il primo intermediario verso le autorità cittadine: a lui ci si rivolgeva per avere consulenze per le richieste, le raccomandazioni, reclami e rivendicazioni varie. 
Ma non solo. Anche l'epistolario amoroso dei giovani contadini era gestito dallo scrivano pubblico che, come un assistente sociale, conosceva tutti i problemi dei suoi assistiti.
Il Poeta Belli, come suo solito, apre un gustoso  siparietto sulla figura importantissima a Roma della comare che si serve proprio dello scrivano per  una lettera ad una Signora, di cui si dichiara appunto Comare.
 "Roma - Arco di Dolabella"
serie "Roma sparita"
di Ettore Roesler Franz

La Comare o Commare.
Interessante è poi l'uso  della parola Comare o Commare ad indicare varie accezioni. 
La prima di queste accezioni era (ed è) Madrina di battesimo o di Cresima. Poi con la stessa parola si indica la levatrice , in quanto era lei che, in alcune regioni, presentava il neonato al battesimo. 
A Roma invece il termine Commare, spesso utilizzato nei sonetti di G.G. Belli,  poteva avere un significato piuttosto dispregiativo  e stava ad indicare una donna curiosa, pettegola, maldicente, litigiosa, invidiosa..
In altri casi invece Commare è  la vicina di casa, che poteva essere amica e confidente, o invece avere  alcuni dei tratti  negativi di cui si è detto sopra.

Sonetto La lettra de la Commare


   Cara Commare. Piazza Montanara,1
oggi li disciannove der currente.
Ve manno a scrive che sta  
facciamara
de vostra fijja vò pijjà2 un pezzente.       
     Poi ve faccio sapé che la taccara
morse, in zalute nostra, d’accidente:
e l’arisposta sò a pregavve cara -
mente a dàlla alla torre3 der presente.   
     Un passo addietro.4 Cquà la capicciola

curre auffa,5 mannandove un zaluto
pe pparte d’Antognuccio e Lusciola. 
     Me scordavo de divve, si ha ppiovuto
che sta lettra nun pò passà la mola,
come, piascenno a Dio, ve dirà el muto.

Titta nun ha possuto;
e con un caro abbraccio resto cquane
vostra Commare Prascita Dercane. 6              


A l’obbrigate mane
de la Signiora Carmina Bberprato,

Roccacannuccia, in casa der curato.
Morrovalle, 26 settembre 1831 - Der medemo


N.B. In Piazza Montanara, presso l’antico Teatro di Marcello, siedono alcuni scrivani o segretari in servizio de’ villani dello Stato, che ivi si radunano, particolarmente le feste, per aspettare occasioni di vendere la loro opera pe’ lavori delle campagne romane; questi segretari hanno certa tassa per le varie lunghezze di lettere, le più preziose delle quali sono le dipinte a cuori trafitti, sanguinolenti e infiammati. 
Note - 1 Sposare. 2 Al latore. 3 Frase usata spessissimo dagli indòtti, i quali nel discorso hanno obliata qualche circostanza. 4 La bavella va a vil prezzo. Sull’auffa, a ufo, vedi il sonetto… 5 Placida del cane.

[Versione. La lettera della Commare
Cara Commare. Piazza Montanara,
oggi il 19 del mese corrente, vi mando a scrivere che questa faccia amara
di vostra figlia vuole sposare un poveraccio.
Poi vi faccio sapere che la taccaia (donna che fabbrica o vende tacchi), in vostra salute, è morta d'accidente: e la risposta sono a pregarvi caramente  di darla al latore della presente. 
Un passo indietro. Qui la capicciola (tessuto di seta) va a basso prezzo, 
vi mando un saluto per parte di Antoniuccio e di Luciola.
Mi scordavo di dirvi, se avrà piovuto questa lettera non può passare (il fiume) il mulino. Come , piacendo a Dio, vi dirà il muto.
Titta non ha potuto; e con un caro abbraccio resto qua vostra Commare Priscilla Del Cane.
Alle obbligate mani della Signora Carmela BelPrato,

Roccacannuccia, in casa del curato.]