23/12/22

G.G. Belli conosceva il cottio...


La notte di Natale, nella vecchia Roma, era tradizione recarsi alla messa della Vigilia alla Basilica di Santa Maria Maggiore. Vi si riversava quasi tutta la popolazione, al termine di quello che, tuttora, viene chiamato Il cenone. (vedi anche qui)

Il Cenone. Era una cena più o meno abbondante a seconda delle possibilità economiche, ma sempre a base di pesce, capitone, anguille, baccalà fritto, alici, ecc., e di broccoli e verdure fritte in pastella, e mandarini finali. È detta di magro, perché non prevede alcun tipo di carne, al contrario del pranzo del giorno di Natale, in quanto nella vigilia si attendeva la nascita del Bambinello, cioè Gesù.  

Il pesce che sarebbe stato consumato nella notte della vigilia, non veniva semplicemente acquistato, ma veniva messo all’asta a partire dal 23 dicembre, in una sorta di grande appuntamento festaiolo che radunava popolani e ricchi della Roma insieme.

Stiamo parlando del Cottio, dal latino coctigium, ossia la vendita all’asta del pesce pescato sulle coste vicino Roma. Era un vero e proprio rito, nato nel XII secolo e protrattosi fino ai nostri giorni, fino a quando cioè i Mercati Generali furono spostati da via Ostiense all’attuale sede di Guidonia, un Comune nei pressi di Roma. 

Iniziava dopo la mezzanotte, generalmente intorno alle due di notte, e terminava solo quando il pesce era completamente venduto. Era l’occasione per una grande festa popolare, dove i venditori parlavano ai potenziali acquirenti con un gergo prestabilito, comprensibile solo agli addetti, e che vedeva coinvolta tutta la città, famiglie povere, ristoratori e aristocratici vestiti nei loro eleganti vestiti da sera. 

Il Belli dedica un sonetto proprio a questa tradizione, e possiamo pensare che anche lui fosse coninvolto nell'acquisto e nella degustazione del pesce fritto, che veniva offerto nel mercato gratuitamente. (vedi dopo)



Inizialmente aveva luogo al Portico d’Ottavia, nel quartiere cosiddetto del Ghetto, ma all’inizio del XIX secolo coinvolse anche piazza del Pantheon e via del Panico al Corso, costituendo però un forte degrado per il centro storico di Roma e per i suoi monumenti. Il passaggio dei carri, delle luci, della gente innumerevole praticamente per tutta la notte, era fonte di disturbo, sporcizia e cattivo odore. Fu deciso allora, nella seconda metà del XIX secolo, di spostarlo a Piazza San Teodoro, facilmente raggiungibile direttamente da Porta San Paolo e Porta Portese senza attraversare il centro della città, e strutturata in una forma più comoda con botteghe e pulpiti per i venditori, illuminazione notturna e possibilità di rinfrescare continuamente con l‘acqua il pesce esposto. 

Qui rimase fino al 1927, quando fu trasferito ai citati Mercati Generali su via Ostiense. Durante l’asta, i venditori usavano offrire a titolo assolutamente gratuito, cartocci di pesce fresco fritto.

Purtroppo, questa bella tradizione, in cui si avvicinava la povera gente e i nobili ricchi, è sparita con l’allontanamento da Roma del mercato del pesce. 

Oggi è rimasta comunque nelle famiglie romane la tradizione del cenone di magro, rigorosamente a base di pesce e verdure, seguito dalla poesiola di Natale recitata dai bambini e dalla tombolata finale. 

"Il Cottivo". Il sonetto inizia facendo un piccolo elenco dei pesci più ambiti all'epoca in cui scrive il poeta e del loro prezzo sempre alto anche in quell'epoca lontana, fino ad arrivare al vero scopo di Belli, che è quello di mostrare che le cose migliori andavano ai privilegiati...In questo caso lo storione era stato acquistato per farne dono ad un cardinale...
La solita storia, insomma!!!!

Er cottivo 

«È ffinito er cottivo?» «Ehée, da un pezzo». 
«Ggià, pprezzettacci?» «Ma de che! mma indove! 
Inzinenta, fratello, che nun piove, 
la pesca è mmosscia, e nun ribbassa er prezzo». 
«Sai c’hai da dí? cch’er popolo sc’è avvezzo. 
Ma ebbè ddunque, di’ ssú: ddamme le nòve». 
«Eh, ll’aliscette e la frittura a nnove: 
li merluzzi e le trijje a ddiesci e mmezzo: 
le linguattole e ’r rommo a ddu’ carlini: 
a un papetto la spigola e ’r dentale; 
e ssu sto tajjo l’antri pessci fini». 
«E, ddi’ un po’, lo sturione quanto vale?» 
«Ne sò vvenuti dua, ma ppiccinini, 
e ssò iti in rigalo a un Cardinale». 
11 gennaio 1845

Il cottio. "E' finito il cottio?" "Ehée, da un pezzo". "Già, bassi prezzi?" "Ma de che! Ma dove! Fintanto, fratello, che non piove, la pesca è fiacca, e non ribassano i prezzi"."Sai che hai da dire? che il popolo ci è abituato (a pagar caro il pesce). 

Ma dunque da lassù dammi le novità." "Eh, l'alicette e la frittura a nove (baiocchi la libbra):I merluzzi e le triglie a 10 e mezzo:le sogliole e il rombo a due carlini:La spigola e il dentice un papetto; e su questo taglio(livello di prezzo) gli altri pesci fini"." E, dì un pò, lo storione quanto costa?""Ne ho venduti due, ma piccoli e sono andati per un regalo a un Cardinale".