11/06/23

G.G Belli e il degrado di Roma "Caput mundi"


La Roma dei tempi in cui visse G.G. Belli era ancora una città a misura d'uomo, il cui tessuto urbano si sviluppava tutto entro le mura. 

E il poeta Belli, che cambiò molte abitazioni nel corso della sua vita, abitò sempre nella bellissima Roma del centro storico. 
Nacque vicinissimo  a piazza Sant'Eustachio e a piazza del Pantheon, poi da sposato andò nel palazzo adiacente addirittura alla splendida Fontana di Trevi, poi una volta vedovo andò ad abitare in via Monti della Farina, oggi traversa di Corso Vittorio Emanuele, e infine morì in una casa, poi demolita, in vicolo dè Cesarini, oggi fra via dei Cestari e largo delle Stimmate. 
[Per approfondire il tema delle abitazioni belliane clicca qui..],

Insomma al Poeta bastava uscire di casa, fare due passi e ammirare ..la robba che ciavemo qui..., come dice a proposito dei monumenti nel Sonetto Roma capumunni.

Belli e l'amore per Roma antica.
G.G. Belli era un ammiratore della Roma antica, quella la cui grandezza si poteva ancora ammirare grazie ai tanti monumenti sparsi per la città, tutti testimonianza  di un glorioso passato. 
E chi non può esserlo!!!
Anche se il suo interesse maggiore, quando cominciò a scrivere i 2279  Sonetti, era quello di guardare ad una Roma viva, fatta di carne e non alla Roma fatta di pietra, e talvolta in parecchi Sonetti emerge un senso di orgoglio, una stupefatta ammirazione per le Mirabilia Urbis disseminate ovunque nella città. 
Casa in demolizione
in vicolo dei Cesarini,
dove G.G. Belli morì
Del glorioso passato di Roma rimangono un gran numero di rovine e monumenti, risalenti a periodi diversi, in quanto la storia di Roma è stata molto lunga, quasi più di mille anni.
Roma è stata infatti capitale di un impero universale e in seguito della Chiesa universale, crocevia di pellegrini, di papi, di vescovi e imperatori. 
«Se vvoi fa’ quello che te pare a Roma te devi fa’ prete», così un detto recitava. 

Roma caput mundi
Nell'ottobre del 1831, mentre si trovava fuori Roma, forse preso dalla nostalgia, scrive proprio uno di questi sonetti dedicati a Roma eterna
Già il titolo è indicativo: Roma caput mundi.
L'espressione latina caput mundi, riferita alla città di Roma, significa capitale del mondo noto, e si ricollega alla grande estensione raggiunta dall'impero romano tale da fare - secondo il punto di vista degli storiografi imperiali - della città capitolina il crocevia di ogni attività politica, economica e culturale .

La Roma del Sonetto. 
Nel Sonetto Roma capomunni, dopo una atteggiamento di orgoglio del romano di fronte ai grandiosi resti della millenaria e formidabile storia della sua città,  Belli fa delle affermazioni poco chiare e contraddittorie
Cita "cose meravigliose" di Roma, che però sono indicate con il termine buggere.
Cioè vale a dire che i monumenti sono fregature, i ricordati Mirabilia Urbis sono cose meravigliose, ma ingannevoli

Degrado di Roma. Forse anche Belli, in quei tempi ormai lontani, è colpito dal degrado di quella che era stata la città più bella e potente del mondo, e che invece in quei tempi accusava una sostanziale perdita d'importanza, di cui il Poeta prova molto rammarico.

E la causa di tutto ciò era da imputare agli odiati francesi. 

Di qui un aperto atteggiamento di accusa nei confronti dei francesi nella persona di François Cacault, politico e diplomatico, che fu uno dei negoziatori a Roma del Concordato del 1801 e poi ministro plenipotenziario a Roma dal 1802 al 1803.

E proprio in questo senso di decadenza, di degrado che vede nella Roma dei suoi tempi, rispetto alla Roma dal glorioso passato, che deve essere cercato il vero significato dell'uso del termine buggere.. 

Figuriamoci, se per uno scherzo del destino, G.G.Belli potesse vedere come è ridotta oggi Roma, come
F.Cacault
la definirebbe? 



Roma capomunni 
Nun fuss’antro pe ttante antichità 
bisognerebbe nassce tutti cquì, 
perché a la robba che cciavemo cquà 
c’è, sor friccica 1 mio, poco da dí. 
Te ggiri, e vvedi bbuggere de llí: 
te svorti, e vvedi bbuggere de llà: 
e a vive l’anni che ccampò un zocchí 2 
nun ze n’arriva a vvede la mità. 
Sto paese, da sí cche 3 sse creò, 
poteva fà ccor Monno a ttu pper tu,
 sin che nun venne er general Cacò. 4 
Ecchevel’er motivo, sor monzú, 
che Rroma ha perzo l’erre, 5 
e cche pperò de st’anticajje nun ne pô ffà ppiú. 

Terni, 5 ottobre 1831 - Der medemo  1. Nome di scherno. 2. Un non-so-chi. 
3. Da quando. 4 Principio della Repubblica Francoromana. 5 Perdere l’erre: perdere il di sopra, la importanza, e i simili. 

[Versione, Roma Caput Mundi. 
Non fosse altro per le tante cose antiche bisognerebbe nascere tutti qui, perchè, sor Friccica mio, c'è poco da dire alle cose che abbiamo qui. 
Ti giri, e vedi cose meravigliose di lì: ti volti, e vedi cose meravigliose  di là: e anche se si vivesse gli anni che campò non so chi sia non si arriverebbe a vederne la metà. Questo paese, da quando che è stato creato, poteva fare con il Mondo a tu per tu, finchè non venne il generale Cacault. Eccovi il motivo, signor monsignore, che Roma ha perso l'importanza, e che però di queste cose antiche non ne può fare altre.]

11/05/23

G.G. Belli e il giubileo del 1832

Già ai suoi tempi, Giuseppe Giochino Belli aveva ben chiaro quali erano i rischi insiti nel giubileo...

Il giubileo del 1832
L'occasione per esprimere apertamente la sua opinione gli viene offerta  nel 1832, quando papa Gregorio XVI, in ricordo del 18° centenario della Redenzione, indisse un Anno Santo straordinario, valido soltanto per i cittadini dello Stato Pontificio, anche se molte deroghe furono poi accordate, dato il gran numero di richieste, ai fedeli delle diocesi degli Stati italiani confinanti. 

Non dimentichiamo che un'altro giubileo c'era stato già nel 1825 con Leone XII ed era stato "magnifico"per la città di Roma e la cristianità.

Nei sonetti, per bocca dei popolani, Belli dà la sua visione del giubileo, esprimendo giudizi irriverentisdegnati su vari temi che ruotano appunto intorno all'Anno santo.  
Il Giubileo invece di essere un periodo di penitenza e di pentimento, per il popolo diventa l’occasione buona per peccare in santa pace e «alegramente», sicuri di poter essere subito perdonati.
Chiara è l'insofferenza del Poeta verso la pratica di pregare per ottenere le indulgenze o i suffragi, pratica nella quale a suo giudizio si manifestava una concezione utilitaristica della religione.

Aspetti economici e vero scopo del giubileo
Non basta! Belli affronta temi collegati agli aspetti economici che  accompagnano  l'Annosanto. Un popolano, pur riconoscendo i lati positivi del giubileo, infatti lamenta la mancanza di guadagno come conseguenza del mancato festeggiamento del carnevale.
Inoltre in un sonetto (intitolato "Er giubbileo"),  Belli rivela lo scopo "vero" del giubileo indetto da papa Gregorio denunciando il pesante debito che lo Stato Pontificio, a causa delle disastrose condizioni in cui versava l’erario, aveva contratto l’anno precedente con la banca Rothschild per coprire le spese militari e di polizia. 
Faceva infatti scandalo che il papa si fosse rivolto a una banca ebrea anche per  gli altissimi interessi che questa aveva richiesto (più del 60%), pretendendo fra l’altro, clamorosamente, di trattenerli in anticipo (cosicché del prestito di tre milioni di scudi l’erario ne percepì in realtà meno di un milione e novecentomila).
In un verso finale è riassunto un pesante giudizio di Belli nei confronti dei suoi contemporanei: che un giubbileo pe ttanti ladri è ppoco.



L’Anno-santo 
Arfine, grazziaddio, semo arrivati all’anno-santo! 
Alegramente, Meo: 1 
er Papa ha spubbricato er giubbileo 
pe ttutti li cristiani bbattezzati. 
Bbeato in tutto st’anno chi ha ppeccati, 
ché a la cuscenza nun je resta un gneo! 2 
bbasta nun èsse ggiacobbino o ebbreo, 
o antra razza de cani arinegati. 
Se leva ar purgatorio er catenaccio; 
e a l’inferno, peccristo, pe cquest’anno pôi fà, 
ppôi dí, nun ce se va un cazzaccio. 
Tu vvà’ a le sette-cchiese 3 sorfeggianno, 
méttete in testa un pò’ de scenneraccio, 
e ttienghi er paradiso ar tu’ commanno. 
Terni, 7 novembre 1832 - 


Der medemo 1 Bartolommeo. 2 Neo. 3 Visita di sette chiese privilegiate, rimunerata dai Papi con infinite indulgenze
[Versione. L'Anno-santo
Infine, grazie a Dio, siamo arrivati all'anno santo!! Stiamo allegri, Meo:il papa ha pubblicato il giubileo per tutti i cristiani battezzati. Beato in tutto quest'anno chi ha peccati, perchè nella coscienza non gli resta un neo!
basta non essere giacobino o ebbreo, o altra razza di cani rinnegati. Si leva al purgatorio il catenaccio; e all'inferno, per cristo, per quest'anno puoi fare, puoi dire, non ci si va affatto. Tu  vai alle sette chiese mettiti in testa un pò di cenere, e tieni il paradiso al tuo comando.]



15/04/23

G.G. Belli e i frati cappuccini diventati criminali

Il 13 maggio 1837 a Venafro, provincia di Isernia, avvenne un fatto di cronaca che ha dell'incredibile
Fu rapito il canonico Alessandro Del Prete con il suo cocchiere da parte di una banda di frati cappuccini e laici. La banda poi fuggì in montagna dopo aver chiesto il riscatto di ben 30.000 ducati. Il canonico fu ucciso da un frate nella macchia di Torcino.  
Allora intervenne la forza pubblica, ci fu uno scontro a fuoco e i rapitori furono catturati; perquisito il convento, furono trovate armi e munizioni sotto l'altare.
Si parlò molto del fatto che i frati, insieme ai laici avessero costituito una vera e propria associazione a delinquere, diretta dal Padre Guardiano e che si nascondessero nel convento di S. Nicandro a Venafro
Il sonetto contro i frati cappuccini.
Belli rimase sicuramente molto impressionato dalle vicende criminose e, partendo da quel fatto di cronaca nera, trae anche spunto per ribadire una forte critica ai frati cappuccini.
Infatti contemporaneamente a questo fattaccio, nel maggio del 1837, il Poeta romanesco compose un sonetto dal titolo “Er fattarello de Venafro”.
Con questo sonetto si prendeva a pretesto questo rapimento  per esprimere le sue pesanti critiche ai poco amati frati cappuccini di Roma. 
Dopo la notizia di questo crimine, per paura Belli dichiarava che preferiva stare chiuso a catenaccio in casa. E comunque evitare di passare per piazza Barberini, dove era situato un loro importante convento, che conosceva bene e vedremo perchè.
Nei suoi versi Belli menziona poi il  cardinale Ludovico
Micara(Frascati 1775 Roma, 1847) , frate cappuccino, creatura di Leone XII, che aveva avuto modo di conoscere e apprezzare in passato. Per Belli il governo tirannico del cardinal Micara era assolutamente necessario per tenere a bada i terribili frati, che in tutti i sonetti, e, in particolare in questo che si basa su un fatto autentico, sono ritratti come dissoluti, immorali e indegni dell'abito.
Belli, da giovane, rimasto orfano e senza dimora, aveva avuto la possibilità di alloggiare in una stanza proprio presso quel convento dei cappuccini a via Veneto  grazie all'interessamento dell'allora frate Ludovico.

Lo apprendiamo da una lettera  indirizzata a Gaetano Bernetti *, padre del suo amico Peppe, dove parla, fra l'altro, dei favori e dell'amicizia ricevuti dal frate Micara,  diventato poi cardinale. 
In datata 3 ottobre 1816, il Belli scrive: “Ognuno sa che nel passato tempo una catena di circostanze sinistre mi aveva assoggettato alla necessità di provvedere alla mia sussistenza e al mio ricovero nel modo il più decente, ed insieme più adeguato alla povertà che mi opprimeva. I miei parenti a S. Lorenzo in Lucina mi offrirono il vitto, e mancando io ancora di un tetto che mi ricettasse, i miei parenti medesimi pregarono il suo figlio a procurarmi una camera ai Capuccini la quale ottenni di fatti mercè i buoni uffici di lui uniti agli altri, anch'essi efficaci, del Padre Lodovico Micara”. 
Micara  viene menzionato anche in un'altra lettera, datata 4 luglio 1838 e indirizzata a Giacomo Ferretti. 
Ludovico Micara
Convento dei cappuccini
a via Barberini
Cardinale vescovo di Frascati dal 2 ottobre 1837 fino al giugno 1844, Ludovico Micara era nato a Frascati il 12 ottobre 1775. Di carattere forte e intransigente, fu ordinato sacerdote nel 1798, successivamente fu arrestato sotto il governo di Napoleone, caduto il quale divenne Ministro Generale dell’Ordine dei Cappuccini e predicatore apostolico di papa Pio VII (Barnaba Niccolò Maria Luigi Chiaramonti, da Cesena). Il 13 marzo 1826 fu fatto cardinale da papa Leone XII . 

Nel giugno 1844 divenne vescovo di Ostia e Velletri. Morì a Roma il 24 maggio 1847 e per suo volere fu sepolto nella Chiesa dei Cappuccini tra Piazza Barberini e Via Veneto, dove una lapide lo ricorda.
Intanto, mentre sarebbe da far luce se si trattasse effettivamente di sequestratori, che si travestivano da frati o di frati che facevano i sequestratori, vale la pena rileggere il sonetto  “Er fattarello de Venafro”.
Er fattarello de Venafro (1)
Quanno dunque sia vero sto rifresco
che li poveri frati cappuccini
fanno mó da serafichi assassini
pe le macchie in onor de san Francesco,
d’oggi’impoi pe ssarvà ppelle e cquadrini
dal loro amor-der-prossimo fratesco
me serro a ccatenaccio; e ssippuro (2) esco
nun passo ppiú da Piazza Bbarberini(3).
E nun zerve de dimmelo (4) nemmeno
c’ar convento de Roma, o bbene o mmale,
ciàbbita (5) un Cardinal (6) che li tiè (7) a ffreno.
Pe ddavve (8) quarch’idea de li rispetti
ch’hanno pe Ssu’ Eminenza er Cardinale
ve posso aricordà li bbucaletti (9).
31 maggio 1837

[Versione. Il fatterello di Venafro.
Quanto dunque sia vero questo rinfresco che i poveri frati cappuccini da serafici assassini fanno adesso per le macchie in onore di San Francesco, da oggi in poi per salvare la pelle e i quattrini dal loro amore del prossimo fratesco mi chiudo col catenaccio; e se anche esco non passo più da piazza Barberini. E non serve di dirmi nemmeno che al convento di Roma, o bene o male, ci abita il Cardinal che li tiene a freno. Per darvi qualche idea del rispetto che hanno per sua eminenza il Cardinale vi posso ricordare i boccaletti.]
__________________
BERNETTI, Gaetano - Patrocinatore presso il Tribunale di prima istanza di Roma (1811-1814). Abitante in via di Campo Marzo 46 (1811) ed in via Corso 51 o 151 (1812-1814). 
(1) Presso Venafro, nel Regno di Napoli. (2) Seppure;(3) Dove in Roma è il convento dei cappuccini, (4) Dirmelo,(5) Ci abita,(6) Il cardinale Ludovico Micara, cappuccino, creatura di Leone XIII.(7) Tiene, (8) Darvi, (9) Creato cardinale dal Papa, questi gli conservò la dignità di generale dell’Ordine, che poco prima egli stesso aveagli conferita, conculcando le prerogative del Capitolo. Pel governo tirannico del Cardinal generale i frati lo presero un giorno a colpi di boccali in refettorio. Ora non è più generale, ma dimora in convento.

29/03/23

G.G.Belli e la benedizione pasquale


A Roma sparita la Pasqua non era soltanto cibo e vino in abbondanza... per chi poteva permetterseli....
Era anche il ripetersi di riti quali la benedizione nelle famiglie e delle case.

La benedizione
E' una tradizione molto antica nella Chiesa e ha come scopo di far entrare nella famiglia la forza di Gesù Risorto, vittorioso sulla morte e sul male. 
La Benedizione delle case, o Benedizione delle Famiglie, viene effettuata dal parroco e da suoi collaboratori visitando una a una le famiglie del suo territorio. 
Per tutta la giornata del sabato santo girano per le case di Roma i parrochi e altri preti sostituti, seguiti ciascuno da un chierico, tutti in sottana e cotta, benedicendo le camere, i letti e gli arredi, nonché le uova sode (simbolo del rinnovamento, della nascita) e i salumi, come da tradizione. 
Nel giorno di Pasqua la Chiesa si intende rinnovata spiritualmente grazie alla risurrezione di Cristo, che compì il riscatto degli uomini.

L'indicazione del Tempo Pasquale come periodo in cui effettuare la benedizione annuale ha origine dal rito stesso della benedizione, che prevede che le case e le famiglie vengano asperse con l'acqua santa benedetta proprio nella solenne Vigilia Pasquale.
Le norme del rito prevedono che non si benedica una casa in assenza dei membri della famiglia che vi abitano, poiché la benedizione riguarda propriamente la famiglia, non i locali. 
Ma cosa scrive a tal proposito G.G. Belli? Un Belli sarcastico e irriverente si scaglia contro i riti della Chiesa celebrati da preti, che approfittano della loro posizione per fare prepotenze ai poveri e deboli. 




Infatti il poeta, contrario ad ogni tipo di rito liturgico,  non risparmia la pasqua, una delle feste più importante per i cristiani.                                                                               
Il sonetto "riprende" un momento del vivere romano: quello del prete ingiusto e imbroglione che benedice quella "ficona" della contessa con grande e meticolosa attenzione (addirittura benedice il suo "orinale"); mentre dedica poco tempo agli altri comuni mortali.
E così il popolano che la sa lunga, sapendo come andrà a finire,  non si limita solo a pazientare ma affoga insieme alla monetina la sua rabbia nel secchietto del Chirichetto.
Così in questo quadretto pur entrando in aspetti minimi della vita romana, diventa manifestazione esemplare dei rapporti tra gli uomini.
Paroli volgari
E in Belli le parole  sono pietre.... due termini volgari:  "figona"  per definire la contessa, e "urinale" per precisare fino a che punto si spinge il parroco sono per chi legge uno schiaffo, che impressiona il lettore che si aspetterebbe al contrario una parola di devozione in queste rime "pasquali"..
La bbonidizzione de le case1 
Me fanno ride a mmé: nnun penzà ar male! 
Io so ch’er prete da cuela 2 ficona de Contessa 
sc’è stato un’ora bbona a bbenedijje 3 
inzino l’urinale. E dda mé ssu la porta de le scale 
’na sbruffata d’asperge a la scappona, 
eppoi parze 4 ch’er diavolo in perzona 
je soffiassi in ner culo un temporale. 
Er chirico però, cche la sapeva, 5 
rimase arreto cor zu’ bber zecchietto 
pien d’acqua-santa e dde cuadrini a lleva. 6 
«Ho ccapito», fesc’io, «sor chirichetto: 
finissce cor pagà: ggià sse sapeva. 
Affogamo per dio st’antro papetto». 


Roma, 6 aprile 1833 

[Versione La benedizione delle case. 
Mi fanno ridere: non pensare male! Io so che il prete da quel bel pezzo di donna di contessa c'è stato un'ora buona a benedirgli persino l'orinale. E da me sulla porta delle scale una spruzzata di aspersorio di fretta, e poi parve che il diavolo in persona gli soffiasse nel sedere un temporale. Il chierichetto, però che 
era furbo, rimase indietro con il suo bel secchiello pieno d'acqua santa e di quattrini per leva. 
«Ho capito» feci io« sor chirichetto: finisce con il pagare: già si sapeva. Affoghiamo per Dio un'altro papetto (moneta romana) »

Il sonetto descrive un momento: quello del prete ingiusto e imbroglione che benedice quella ficona della contessa con grande e meticolosa attenzione; dall'altra il popolano che non si limita solo a pazientare ma , sapendo come andrà a finire, afoga insieme al paetto la sua rabbia. Così da questo quadretto pur rappresentando aspetti minimi della vita romana, diventa manifestazione esemplare dei rapporti tra gli uomini. 

Note 1. Per tutta la giornata del sabato santo girano per le case di Roma i parrochi e altri preti sostituti, seguiti ciascuno da un chierico. 2 Quella. 3 Benedirle. 4 Parve. 5 Cioè: «furbo». 6 Il chierico suole portare da una mano un secchietto di acqua santa in cui il prete immerge il suo aspersorio, e dall’altra un canestro. Nel primo i fedeli tuffano i testimoni metallici della lor divozione, al quale fine credono i maligni porsi anticipatamente in parrocchia alcuna moneta, per leva, voglio dire per pio eccitamento, non diversamente da quanto si vede praticare nelle beneficiate teatrali. Nel secondo poi si raccolgono le oblazioni in commestibili per sostituzione o giunta al danaro: e quei commestibili sono sempre una porzione de’ salami e delle uova benedette dai preti e perciò fatte mezzo dritto di stola. I preti poi riuniti tutti in parrocchia fanno una divota refezione in comune.  

09/03/23

G.G. Belli e la morte nel film "la Commare secca"

  
lapide poste in facciata
della Chiesa romana di
Santa Maria
dell’Orazione e Morte in via Giulia,
Anche il cinema deve qualcosa a   G.G.Belli.. 
 
Il film intitolato: La commare secca, ad esempio!!
Questo è un pellicola del 1962, diretto  dal parmense Bernardo Bertolucci, all'esordio nella regia, tratto però da un soggetto di Pier Paolo Pasolini. 
Il titolo riprende un terribile verso di un sonetto del poeta romanesco G.G. Belli.  
L'idea di utilizzare Belli è indubbiamente da attribuire Pasolini, che era un appassionato di cultura romanesca, anche se la cosa non è  del tutto certa...
Ma perchè questo titolo?
 Il film tratta dell'omicidio di una prostitutaÈ la cronaca di un’indagine, in flashback, sull’omicidio di una prostituta, trovata cadavere sul greto del Tevere, da diversi punti di vista.
Il titolo si riferisce alla morte, come la definisce Giuseppe G. Belli. 
E tale citazione è  nell'inquadratura finale del film: «... e già la Commaraccia secca de strada Giulia arza er rampino».
Che cosa centra la bellissima  via Giulia? Qui sorge la chiesa romana di Santa Maria dell’Orazione e Morte, luogo sacro voluto dall’omonima confraternita esattamente sopra il cimitero dove erano soliti collocare i morti sconosciuti per dare loro sepoltura cristiana.
E proprio l'Arciconfraternita dell'Orazione e Morte aveva come scopo quello di dare sepoltura ai morti, trovati in campagna o annegati nel Tevere, senza identità o comunque che non potevano ricevere degne esequie. Oltre alla chiesa, vennero costruiti anche un oratorio e un vasto cimitero, in parte sotterraneo ed in parte sulle rive del Tevere, cimitero che fu quasi completamente distrutto nel 1886 con la costruzione dei muraglioni del Tevere.

G.G. Belli e la morte...
L'immagine della morte, che si prepara inesorabile al alzare la falce e colpire il malcapitato, è resa  con versi potenti e sinistri, che bloccano l'immagine del gesto decisivo e terribile.
A Roma, la morte è presenza quotidiana e continuamente visibile. Spesso le chiese sono ornate proprio da simboli che ricordano al cristiano che deve morire: teschi, monumenti funebri, clessidre, ossa, fiaccole rovesciate, la farfalla che allude alla dipartita dell'anima,la falce etc.
E la chiesa succitata è fondamentale perchè sede dei "fratelloni" dell'Arciconfraternita della Morte, e per il suo cimitero zeppo di scheletri e ossa...

Accanto alla porta d'ingresso è posta una lapide di marmo dove è graffito uno scheletro con la falce e la scritta "Hodie mihi, cras tibi, cioè "Oggi a me, domani a te". Immagine che compare alla fine del film...

Passando al sonetto invece la figura di dell'uomo malato di tisi e morente rimane una grande momento lirico del Belli.

Er tisico 

Cuesto oggnuno lo sa: ppila intronata 
va ccent’anni pe ccasa: 1 e tte l’ho ddetto. 
Mó mm’accorgio 2 però cch’er poveretto
 sta vviscino a ssonà lla ritirata. 3 
Già ffin dar tempo che sposò Nnunziata 349 
le scianche je fasceveno fichetto; 4 
e ffinarmente s’è allettato a lletto 
perch’era ppiú ll’usscita che ll’entrata. 
Nun tiè ppiú ffiato da move le bbraccia: 

e cchi lo va a gguardà ssu cquer cusscino, 
je vede tutta Terrascina 5 in faccia. 
Io metterebbe er collo s’un quadrino 

che nnu la cava: e ggià la Commaraccia 
secca de Strada-Ggiulia 6 arza er rampino. 

7 Roma, 8 gennaio 1833 - Der medemo 

1 Proverbio. 2 Mi accorgo. 3 Proverbio. 4 Far le gambe fichetto, vale: «piegarsi per fiacchezza». 5 Terracina. S’intende che qui è in senso translato di terra. 6 La comare secca, cioè «la morte», di Strada Giulia, dalla via di questo nome, nella quale è la Chiesa della Morte. 7 Falce.

[VersioneIl Tisico
Questo lo sanno tutti: la pentola incrinata va cento anni per casa:e te l'ho detto. Adesso mi accorgo però che il poveretto sta per morire. 
Già fino dal tempo che sposò Nunziata le gambe si piegavano per la fiacchezza e finalmente si è allettato perchè era più l'uscita che l'entrata (?). Non ha più fiato per muovere le braccia: e chi lo va a guardare su quel cuscino, gli vede tutta terra in faccia. Io scommetterei il collo contro un quattrino che non se la cava: e già la Commaraccia secca di Strada Giulia alza la falce..