24/12/13

G. G.Belli. Festa in musica per celebrare il 150° anniversario della sua scomparsa


La musica per celebrare i 150 anni della scomparsa di Giuseppe Gioachino Belli
All'Auditorium - parco della musica, domenica 13 ottobre 2012,  si è tenuta una grande festa musicale, con Ambrogio Sparagna e l'Orchestra popolare italiana, che ha messo insieme i Sonetti del grande poeta romano Giuseppe Gioachino Belli, molto conosciuto da tutti romani e non, gli strambotti e i canti popolari raccolti dall'altro poeta romano "ritrovato" Giggi Zanasso. 


E' possibile visualizzare il video dello spettacolo - Auditorium parco della Musica cliccando qui [...]

Accanto ai famosi sonetti di Giuseppe Giaochino Belli,  letti dall'attore Massimo Popolizio, sul palcoscenico si sono recitati anche gli strambotti, brevi componimenti di contenuto in prevalenza amoroso, tratti dalle raccolte ottocentesche dei canti popolari romani, soprattutto quelli raccolti da Giggi Zanazzo, poeta e antropologo del primo novecento. 


Gli strambotti sono  interpretati da voci soliste, un sestetto vocale (il Sestetto vocale di Orvieto) e un grande coro popolare accompagnati dall'Orchestra Popolare Italiana, che evoca i suoni del popolo romano rappresentata del Belli mediante l'impiego di strumenti arcaici della campagna romana come zampogne, ciaramelle, flauti di canna e di corteccia, tamburelli, ecc.

I sonetti sono stati scelti in base ad alcuni elementi tipici della poetica belliana come l'amore carnale, la morte, il potere corrotto, l'evasione dalla realtà, la celebrazione di Roma e il sentimento di pietà. 

Il sonetto è la forma metrica più celebre e fortunata della tradizione lirica italiana. Si compone di 14 endecasillabi divisibili in una prima parte di 8 versi (due quartine) e una seconda di 6 (due terzine).  Giuseppe Gioachino Belli (1791-1863) è l'autore della più  grande raccolta che, pubblicata nell'edizione definitiva e postuma del 1952, raggiunge il totale di 2279 sonetti. 

Nella sua introduzione ai sonetti Belli indica i suoi scopi:  vuole innalzare un “monumento di quello che oggi è la plebe romana”. Questo tipo di rappresentazione comporta la scelta del dialetto romanesco, un idioma subalterno che gli consente di calarsi completamente nelle espressioni culturali del popolo rozzo e spropositato a cui è negata ogni speranza di miglioramento. Se la speranza nel futuro è una pura illusione, resta allora soltanto il presente,  con le sue piccole cose, i piccoli fatti, i piccoli pensieri, le piccole violenze, fatte e subite. 
Nei sonetti l’autore non è più se stesso: diventa i personaggi che fa parlare; non denuncia dall’esterno il degrado del popolo minuto ma diventa egli stesso popolo che urla contro la proprio misera situazione e contro l’oppressione del potere costituito, impossibilitato a cambiare la realtà.