11/01/21

G.G. Belli e e il condannato a morte A. Camardella


Un delitto cruento avvenuto nella  Roma del 1747 fu quello quello commesso da Antonio Camardella, n
ativo di Camerota nel Regno di Napoli, (era nato nel 1700 ca). Al momento del fattaccio faceva il ferravecchio, dopo essere stato cocchiere per alcune signorili famiglie romane, da quando si era trasferito a Roma nel 1740. 
Rimasto vedovo per la terza volta, si era risposato e la quarta moglie gli aveva portato in dote una casa di due piani, sita in via Vittoria, con affaccio su via del Babuino. 
Camardella, dato il cattivo stato della casa, pensò di restaurarla e ingrandirla di un piano per poi guadagnare dagli affitti.
I prestiti chiesti al canonico Murgigni
Non avendo però possibilità economiche chiese ripetuti prestiti, ad interesse, all'anziano canonico Murgigni 1)
In tutto scudi 950, con un interesse annuo del 5%.
Sempre nel 1747 successe però qualcosa che cambiò i destini di Camardella e di Murgigni.

Murgigni e la denuncia a Gammardella
Ci fu però però un improvviso avvenimneto che cambiò una storia comune nella Roma dell'epoca. Il canonico, inaspettatamente,  iniziò una causa (che durò da settembre 1747 ad agosto 1749) contro i coniugi Camardella, perchè sosteneva di aver scoperto che la casa era gravata da un canone annuale, verso un tal conte A. Pei, e di conseguenza i coniugi erano tenuti a liberarla di quel peso.
 
Ove non lo avessero fatto il contratto sarebbe stato nullo e i coniugi avrebbero dovuto restituire al canonico la somma erogata in più prestiti. 

Così diceva la legge...
In seguito alla denuncia furono compiute le varie azioni previste in questi casi: come la stima della casa, la stima degli affitti già  in essere, la messa in vendita della casa, la diffida ai Camardella che già abitavano le soffitte ad andarsene, la notifica agli inquilini (fra cui varie prostitute) del cambio di proprietario, la richiesta di restituzione del debito contratto con Murgigni...
Così quando gli sbirri si presentarono nella casa di via Vittoria per sfrattare i Camardella, Antonio fece una forte resistenza cosìcchè gli sbirri si allontanarono.

Camardella cominciò a meditare il delitto.
Sconvolto dalla situazione, e dopo aver vagato per Roma, Camardella decise di affrontare il canonico con la pistola e di ucciderlo. Rivendicò infatti l'inganno teso dal Murgigni,  dichiarando che il prete sapeva del canone che gravava sulla casa e che addirittura, al momento della stipula del contratto, aveva consigliato lui stesso di mantenere.
Così, sconvolto, poichè non sopportava l'ingiustizia dello sfratto immotivato, Camardella decise di vendicarsi uccidendo Murgigni.

Ovviamente i fatti riportati sono solo alcuni aspetti della complessa vicenda che può essere interamente ripercorsa nel volume di E. Coglitore, Il giorno che impiccorno Gammardella, Il Cubo, 2010.
Qui basti dire che Camardella fu condannato a morte e scomunicato per aver ucciso un sacerdote e nonostante vari tentativi di salvargli almeno l'anima, fra cui quello del famoso padre Maurizio da Porto Leonardo (Porto Maurizio20 dicembre 1676 – Roma26 novembre 1751), famoso predicatore... non ci fu nulla da fare
Morì senza essersi pentito del gravissimo gesto compiuto.

Morte senza pentimento
Ma perchè Belli dedica vari sonetti a questo fattaccio, avvenuto quando il poeta non era ancora nato? 
Camardella è un personaggio immortalato dalla poesia di Giuseppe Gioachino Belli come colui che, ritenendo di essere stato condannato a morte ingiustamente, vuole perdere con la vita anche l’anima per vendicarsi della Chiesa che non aveva voluto salvargli la vita. 
Si trattò insomma di un' esecuzione plateale, la vendetta di un uomo contro un prete
Cinque colpi, alla nuca e alle spalle, e per Antonio Camardella, 55 anni, e la sua vittima, un prete, non c' è stato più nulla da fare. 

Grazie alle ricerche archivistiche
La storia di Antonio Camardella, della triste vicenda che ne fece un omicida, e provocò la morte violenta di un essere umano, gli atti del processo a suo carico, l’esecuzione della condanna a morte, si sono potuti ritrovare seguendo scrupolosamente i documenti conservati in alcuni importanti archivi storici di roma (Archivio di stato di Roma, Tribunale del Senatore e Tribunale dell'A.C., Archivio segreto vaticano, Archivio storico diocesano etc) ) 
Ne nasce una rappresentazione di Roma della metà del '700 con i suoi usi e costumi, le sue leggi, i suoi tribunali, i suoi giudici, i suoi sbirri e le sue autorità. 

I Sonetti di Belli dedicati al fattaccio Camardella sono i due riportati di seguito,  un terzo nomina l'affaire di San Leonardo da Porto Maurizio (Er primo peccato contro lo Spiritossanto).
 
La ggiustizzia de Gammardella 

padre leonardo da Porto Maurizio
Leonardo
da Porto Maurizio
Quanno che vedde che a scannà un buciardo
Gammardella ebbe torto cor Governo,
nun vorze un cazzo convertisse; e ssardo
morze strillanno vennetta abbeterno. 4
Svortato allora er Beato Leonardo
a le gente che ttutti lo vederno,
disse: “Popolo mio, pe sto ribbardo
nun pregate più Iddio: già sta a l’inferno”. 8
Ebbè, quelle du’ chiacchere intratanto
j’hanno incajato un pezzo de processo
che sse stampava pe creallo Santo. 11
L’avocato der diavolo fa er fesso
co sti rampini; ma ppò dì altrettanto,
s’ha da santificà ffussi de gesso! 14

[Versione. La giustizia ddi Gammardella.
Quando si accorse che lo scannare un prete bugiardo gli era costato una condanna da parte del governo pontificio, il reo Camardella non volle per niente pentirsi e, saldo nel suo giudizio, morì gridando vendetta in eterno. Allora il Beato Leonardo da Porto Maurizio (che invano aveva tentato di convertirlo), rivolto alla folla e visto da tutti, disse: “Popolo mio, non pregare più per questo brigante: sta già all’inferno”. Ebbene, quella frase nel frattempo ha bloccato il processo che era stato organizzato per canonizzarlo. Il Promotore Generale della Fede (definito “avvocato del diavolo” perché incaricato di sollevare obiezioni ed opposizioni) fa il duro con questi cavilli; ma può dire altrettanto se da santificare fosse una statua. 
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1 Vide. 2 Non volle affatto convertirsi. 3 Saldo. 4 Morì. 5 In eterno. 6 Rivolto. 7 Il beato Leonardo da Porto Maurizio. 8 Videro. 9 Ribaldo. 10 Così chiamasi l’Avvocato che impugna, ecc. 11 Il duro. 12 Cavilli. 13 Può dire enziandio altrettanto. 14 Fosse.
N.B. Di fatto, mentre il Belli scriveva, il processo di canonizzazione del beato Leonardo – beatificato nel 1796- era sospeso. Fu ripreso in seguito e concluso nel 1866. Nulla si sa dei motivi della sospensione.


Altro sonetto incentrato all'impiccagione di Camardella
Nel sonetto che segue un padre, imbattutosi col figlioletto nella pubblica impiccagione del Camardella, si adegua ad un'antica tradizione romanesca, mostrando al figlio a fini "educativi" la lugubre cerimonia, lo colpisce con un sonoro ceffone, perché possa ricordarsi per sempre che nessuno può ritenersi migliore di un qualsiasi delinquente e che, se non si riga dritto, anche i migliori sono destinati alla stessa fine.

Er ricordo 
Er giorno che impiccorno Gammardella 
io m’ero propio allora accresimato. 
Me pare mó, ch’er zàntolo a mmercato 
me pagò un zartapicchio 1 e ’na sciammella. 1a 
Mi’ padre pijjò ppoi la carrettella, 
ma pprima vorze gode 1b l’impiccato: 
e mme tieneva in arto inarberato 
discenno: «Va’ la forca cuant’è bbella!». 
Tutt’a un tempo ar paziente Mastro Titta 2 
j’appoggiò un carcio in culo, e Ttata a mmene 3 
un schiaffone a la guancia de mandritta. 
«Pijja», me disse, «e aricordete bbene 
che sta fine medema sce sta scritta 
pe mmill’antri 4 che ssò mmejjo de tene». 
5 Terni, 29 settembre 1830 - 
De Pepp’er tosto 

1. Cercherò poi di aprire una finestra sulla possibilità data ai preti di fare prestiti non considerati ad usura. 1bis Un balocco che salta per via d’elastici. 1a Ciambella. 1b Volle godere. 2 Il carnefice è a Roma conosciuto sotto questo nome. 3 Me. 4 Altri. 5 Te. 

[Versione. Il ricordo. 
Il giorni che impiccarono Gamardella io avevo appena fatto la cresima. Mi ricordo adesso  che il padrino al mercato mi comprò un gioco (saltapicchio) e una ciambella. Mio padre poi prese la carrozzella, ma prima volle godersi l'impiccato: e mi teneva in alto sollevato per le gamce dicendo : " Guarda la forca quanto è bella".Nello stesso momento  al paziente Mastro Titta diede un calcio in culo e a papà a me uno schiaffone sulla guancia destra. "Prendi" mi desse "e ricordati bene che questa fine medesima ci sta scritta per mille altri che sono meglio di te"
 
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LE CARTE D'ARCHIVIO E LA BIBLIOGRAFIA.  Si rimanda al volume che segue per i riferimento agli archivi consultati per chiarire questa vicenda. Cfr. il volume citato: E. Coglitore, Il giorno che impiccorno Gammardella, Il Cubo, 2010