09/01/25

G.G. Belli e il giubileo del 1832

Già ai suoi tempi, Giuseppe Giochino Belli aveva ben chiaro quali erano i rischi insiti nel giubileo...

Il giubileo del 1832
L'occasione per esprimere apertamente la sua opinione gli viene offerta  nel 1832, quando papa Gregorio XVI, in ricordo del 18° centenario della Redenzione, indisse un Anno Santo straordinario, valido soltanto per i cittadini dello Stato Pontificio, anche se molte deroghe furono poi accordate, dato il gran numero di richieste, ai fedeli delle diocesi degli Stati italiani confinanti. 

Non dimentichiamo che un'altro giubileo c'era stato già nel 1825 con Leone XII ed era stato "magnifico"per la città di Roma e la cristianità.

Nei sonetti, per bocca dei popolani, Belli dà la sua visione del giubileo, esprimendo giudizi irriverentisdegnati su vari temi che ruotano appunto intorno all'Anno santo.  
Il Giubileo invece di essere un periodo di penitenza e di pentimento, per il popolo diventa l’occasione buona per peccare in santa pace e «alegramente», sicuri di poter essere subito perdonati.
Chiara è l'insofferenza del Poeta verso la pratica di pregare per ottenere le indulgenze o i suffragi, pratica nella quale a suo giudizio si manifestava una concezione utilitaristica della religione.

Aspetti economici e vero scopo del giubileo
Non basta! Belli affronta temi collegati agli aspetti economici che  accompagnano  l'Annosanto. Un popolano, pur riconoscendo i lati positivi del giubileo, infatti lamenta la mancanza di guadagno come conseguenza del mancato festeggiamento del carnevale.
Inoltre in un sonetto (intitolato "Er giubbileo"),  Belli rivela lo scopo "vero" del giubileo indetto da papa Gregorio denunciando il pesante debito che lo Stato Pontificio, a causa delle disastrose condizioni in cui versava l’erario, aveva contratto l’anno precedente con la banca Rothschild per coprire le spese militari e di polizia. 
Faceva infatti scandalo che il papa si fosse rivolto a una banca ebrea anche per  gli altissimi interessi che questa aveva richiesto (più del 60%), pretendendo fra l’altro, clamorosamente, di trattenerli in anticipo (cosicché del prestito di tre milioni di scudi l’erario ne percepì in realtà meno di un milione e novecentomila).
In un verso finale è riassunto un pesante giudizio di Belli nei confronti dei suoi contemporanei: che un giubbileo pe ttanti ladri è ppoco.



L’Anno-santo 
Arfine, grazziaddio, semo arrivati all’anno-santo! 
Alegramente, Meo: 1 
er Papa ha spubbricato er giubbileo 
pe ttutti li cristiani bbattezzati. 
Bbeato in tutto st’anno chi ha ppeccati, 
ché a la cuscenza nun je resta un gneo! 2 
bbasta nun èsse ggiacobbino o ebbreo, 
o antra razza de cani arinegati. 
Se leva ar purgatorio er catenaccio; 
e a l’inferno, peccristo, pe cquest’anno pôi fà, 
ppôi dí, nun ce se va un cazzaccio. 
Tu vvà’ a le sette-cchiese 3 sorfeggianno, 
méttete in testa un pò’ de scenneraccio, 
e ttienghi er paradiso ar tu’ commanno. 
Terni, 7 novembre 1832 - 


Der medemo 1 Bartolommeo. 2 Neo. 3 Visita di sette chiese privilegiate, rimunerata dai Papi con infinite indulgenze
[Versione. L'Anno-santo
Infine, grazie a Dio, siamo arrivati all'anno santo!! Stiamo allegri, Meo:il papa ha pubblicato il giubileo per tutti i cristiani battezzati. Beato in tutto quest'anno chi ha peccati, perchè nella coscienza non gli resta un neo!
basta non essere giacobino o ebbreo, o altra razza di cani rinnegati. Si leva al purgatorio il catenaccio; e all'inferno, per cristo, per quest'anno puoi fare, puoi dire, non ci si va affatto. Tu  vai alle sette chiese mettiti in testa un pò di cenere, e tieni il paradiso al tuo comando.]



06/01/25

G.G. Belli e la festa della Befana

Befana a Piazza Navona,
anni '50
Il 6 gennaio del 1845 Giuseppe Gioachino Belli scrive tre sonetti dedicati alla festa della Befana, che si festeggiava proprio quel giorno.
Belli in quell'inizio di anno ha ottenuto finalmente la giubilazione, cioè l'attuale pensione, da pochi giorni e precisamente dal 3 gennaio 1845. 
Da parecchi anni il Poeta è vedovo e dal suo matrimonio con la contessa Maria Pichi è nato l'amatissimo figlio unico Ciro, che essendo nato nel 1824, era già grande per aspettare la Befana. Sono anche gli ultimi anni in cui il grande Poeta romanesco scrive i Sonetti.

I tre Sonetti dedicati alla Pasqua bbefania
In quel periodo, questa festa, proprio per la sua importanza, manteneva il nome antico di Pasqua bbefania
I Sonetti sono tre, quasi una commedia divisa in tre tempi: La vigilia, la notte e la mattina della festa.
Sono dedicati a questa festa molto importante nel calendario romano: la festa dei bambini, che ricevevano doni portati attraverso la cappa del camino dalla vecchia Befana . Dobbiamo ricordare che in quel periodo, i regali ai bambini erano portati solo ed esclusivamente dalla Befana e perciò si può immaginare quanto era aspettata da ogni bambino. 
Così anche i genitori più poveri facevano di tutto per far trovare nella calza che si appendeva al camino qualche giocherello, qualche dolcetto..insieme a un pezzetto di carbone, segno delle punizioni ricevute nell'arco dell'anno per le marachelle fatte.

Preparativi per la festa
Belli nei Sonetti ci fa percepire il brusio della folla,  che in quel giorno di vigilia girava alla ricerca dei regali. La zona affollata citata da Belli non è piazza Navona, dove il mercatino fu trasferito solo dal 1872, ma quella di piazza Sant'Eustachio e piazza dei Caprettari,  che dall'Avvento alla Befana si riempiva di casotti di legno, che vendevano giocherelli, dolciumi e personaggi dei presepi.
Ma la situazione caotica non era diversa anche un pò più il là verso la via del Sudario, vicino a via del Monte della farina, dove Belli era andato ad abitare in quegli anni
B.Pinelli
La Befana
Altra nota di colore è quella dedicata ai bottegai romani che, ieri come oggi, approfittavano della gran richiesta per aumentare i prezzi.
Anzi il popolano, che parla nel sonetto, tiene a precisare che, visto i prezzi, ai suoi bambini farà i regali nella settimana successiva. 
Cioè in tempo di svendita!!

Nel secondo sonetto la scena cambia e si svolge in una qualunque casa romana, dove un bambino fa capricci dettati dall'ansia, affichè la notte passi in fretta per vedere i regali che la Befana porterà.

Nel terzo sonetto vengono descritti i vari tipi di giochini, che i bambini di quell'epoca poteva aspettarsi di trovare: arlecchino, trombette, pulcinella,
cavallucci, sediole, piccoli ciufoli, carrettini, cuccú, fucili, vasetti, sciabole, tamburelli.
Ovviamente non poteva mancare un riferimento alla golosità dei preti nei confronti dei dolcetti portati dalla befana. 

I Sonetti 2095. Pasqua bbefania. La viggijja de pasqua bbefania

La bbefana, a li fijji, è nnescessario
de fajjela domani eh sora Tolla?
In giro oggi a ccrompà cc’è ttroppa folla.
A li mii je la fo nne l’ottavario.

A cchiunque m’accosto oggi me bbolla:
e ccom’a Ssant’Ustacchio è cqui ar Zudario.
Dunque pe st’otto ggiorni io me li svario;
e a la fine, se sa, cchi vvenne, ammolla.


Azzeccatesce un po’, d’un artarino
oggi che ne chiedeveno? Otto ggnocchi;
e dd’una pupazzaccia un ber zecchino.

Mó oggnuno scerca de cacciavve l’occhi;
ma cquanno sémo ar chiude er butteghino,
la robba ve la dànno pe bbajocchi.



Versione. La vigilia di Pasqua Epifania. La befana (cioè i doni), ai figli, è necessario fargliela domani eh signora Tolla? In giro oggi a comperare c’è troppa folla. Ai miei figli gliela faccio tra otto giorni. Qualunque bottega a cui mi avvicino oggi, mi dà una batosta: è così ovunque, a Sant’Eustachio come qui al Sudario. Dunque per questi otto giorni io li distraggo (i figli, con qualche scusa); e alla fine, si sa, chi vende deve cedere. Indovinate un po’ per un altarino oggi che cosa m’hanno chiesto? Otto scudi; e per una bambola scadente un bello zecchino. Ora ognuno cerca di cavarvi gli occhi; ma quando saremo alla chiusura del botteghino, la roba ve la danno per pochi baiocchi..

2096. Pasqua bbefania. La notte de pasqua bbefania

«Mamma! mamma!». «Dormite». «Io nun ho ssonno».
«Fate dormí cchi ll’ha, ssor demonietto».
«Mamma, me vojj’arzà». «Ggiú, stamo a lletto».
«Nun ce posso stà ppiú; cqui mme sprofonno».

«Io nun ve vesto». «E io mó cchiamo Nonno».
«Ma nun è ggiorno». «E cche mm’avevio detto
che cciamancava poco? Ebbè? vv’aspetto?»

«Auffa li meloni e nnu li vonno!».

«Mamma, guardat’un po’ ssi cce se vede?»
«Ma tte dico cch’è nnotte». «Ajo!». «Ch’è stato?»
«Oh ddio mio!, m’ha ppijjato un granchio a un piede».

«Via, statte zzitto, mó attizzo er lumino».
«Sí, eppoi vedete un po’ cche mm’ha pportato
la bbefana a la cappa der cammino».


Versione: La notte di Pasqua Epifania. Mamma! mamma! - Dormite. - Io non ho sonno. Fate dormire chi ce l'ha, signor demonietto. Mamma, mi voglio alzare. - Giù, stiamo a letto. Non ci posso stare più; qui mi sprofondo. Io non vi vesto. - E io ora chiamo nonno. Ma non è giorno! - E che mi avevate detto, che ci mancava poco? Ebbene? Vi aspetto? Uffa, i meloni gratis, e non li vogliono! Mamma, guardate un po’ se ci si vede (cioè se fuori c'è luce, se è già l’alba). Ma ti dico ch’è notte. - Ahi! - Ch'è stato? Oh dio mio!, m'ha preso un crampo a un piede. Via, - Sta’ zitto, ora accendo il lumino. Sì, e poi vedete un po' che cosa mi ha portato la befana a la cappa del camino. 

2097. Pasqua bbefania. La matina de pasqua bbefania

Ber vede è da per tutto sti fonghetti,

sti mammocci, sti furbi sciumachelli,
fra ’na bbattajjeria de ggiucarelli
zompettà come spiriti folletti!

Arlecchini, trommette, purcinelli,

cavallucci, ssediole, sciufoletti,
carrettini, cuccú, schioppi, coccetti,
sciabbole, bbarrettoni, tammurrelli...

Questo porta la cotta e la sottana,

quello è vvistito in càmiscio e ppianeta,
e cquel’antro è uffizzial de la bbefana.

E intanto, o pprete, o cchirico, o uffizziale,

la robba dorce je tira le deta;
e mmamma strilla che ffinissce male.

Versione. La mattina di Pasqua Epifania. Un bel vedere è saltellare come spiriti folletti tutti questi funghetti, questi marmocchi, questi furbi zufoletti, fra una batteria di giocarelli. Arlecchini, trombette, pulcinella, cavallucci, sediole, fucili, coccetti, sciabole, berrettoni, tamburelli...Questo è vestito da prete, quello è vestito da chierico e quell'altro da ufficiale  della Befana. E intanto, o prete, o chierico, o ufficiale, i dolcetti tirano loro le dita; e mamma strilla che finisce male.

01/12/24

G.G. Belli e gli zampognari

Gli zampognari venivano a Roma sparita a fare le novene (1), fermandosi nelle case e davanti agli altarini delle tante Madonnelle che si trovavano agli angoli delle strade, nelle botteghe e nelle case. 
Fino a '800 inoltrato la tradizione della novena per il Natale era molto sentita a Roma sparita.
La novena si articolava in una introduzione, nella cantata, nella pastorale ed infine nel saltarello e

  aveva il costo fissato di 2 “paoli”[leggi qui >>].
Il 25 novembre
In passato il 25 novembre, giorno di Santa Caterinasegnava tradizionalmente l’inizio della novena in preparazione del Natale, a trenta giorni dalla festa per la nascita di Gesù.  E questo giorno coincideva anche con la comparsa degli zampognari a Roma.
Dall’Abruzzo, ma anche dal Lazio, Campania, Lucania, Calabria e perfino dalla Sicilia arrivavano a Roma riempiendo la città  con le loro tipiche melodie, in attesa del Natale. 
Erano vestiti in modo caratteristico:  pantaloni corti, giacca di fustagno, ampio mantello o un pelliccione, berretto a calza con fiocco e cioce ai piedi. Solitamente arrivavano in coppia o in trio, il più anziano con la zampogna vera e propria, un altro con la ciaramella o altri strumenti a fiato e un altro che cantava e tradizionalmente si trattava di pastori o contadini, che si trasferivano temporaneamente in città per il periodo natalizio.
La novena nelle abitazioni
Gli zampognari venivano chiamati nelle abitazioni a fare la loro cantata e in cambio gli veniva offerto del denaro, del vino o anche del cibo, chiamato “il cartoccio della padrona”
Nella Roma papalina la tradizione della novena era molto sentita e molte famiglie erano addirittura “clienti” abituali degli zampognari.
Molti si prenotavano addirittura per più di una novena, con lo scopo di  non essere tacciati da “liberali” e “per essere ben visti dai vicini e non arrischiare d’essere denunciati al parroco”.
Però non solo nelle case. ma erano famose anche le cantate davanti alle edicole sacre, le “madonnelle” di Roma.

Non tutti i romani li amavano
Gli zampognari dovevano comunque chiedere un permesso alla questura per poter suonare, ma pare che non tutti amassero le loro cantate. Nei diari di molti stranieri, a Roma per il periodo di Natale, si leggono lamenti relativi a questi suonatori che interrompono il sonno con le loro sonate notturne. 
Alla fine del periodo natalizio gli zampognari riuscivano a guadagnare anche 40 o 50 “scudi”, una cifra davvero considerevole per quei tempi e che soprattutto gli permetteva di passare i mesi invernali senza lavorare.

C’è però da dire che molti romani non capivano i testi delle canzoncine, cantate negli oscuri dialetti di origine degli zampognari, e voci popolari ipotizzavano che tra le varie parole si nascondessero delle prese in giro verso i romani: “E quanto so’ minchioni sti romani – che danno da magnà a ‘sti villani”.
Il divieto di suonare
Con Roma Capitale, nel 1870, un ‘ordinanza vietò a zampognari e pifferai di suonare in strada, nonostante le molte proteste dei romani e dei giornali del tempo. E la tradizione della novena scomparve.
Peccato!!!
L'atmosfera del Natale iniziava con il suono delle zampogne...
E così anche il poeta Giuseppe Gioacchino Belli, che era un attento osservatore di tradizioni popolari romane, con un sonetto scritto il 18 novembre 1831 e intitolato Li venticinque de novembre ci introduce nell’atmosfera particolare di quei giorni.
In questo sonetto Belli descrive proprio l’attesa dei “piferari”o zampognari, mentre in una nota specifica spiega che erano “abruzzesi, suonatori di pive e cornamuse o cennamelle, che il popolo chiama ciaramelle”. 
La novena di Natale
Parecchi anni dopo, cioè nel 1844, il Poeta ritorna sul tema con il sonetto La novena di Natale”, con cui conferma la sua passione, insieme alla gran parte dei romani, per gli zampognari, confessando che: 
“...quann’è er giorno de Santa Caterina, che li risento, io ci arinasco ar monno..
[Versione. ..quando è il giorno di santa Caterina, che li risento, io rinasco al mondo.
Caravaggio,
santa Caterina
Per gli zampognari la città eterna divenne nel '700/'800 una inaspettata grande vetrina internazionale, in quanto Roma era la meta privilegiata del viaggiatori del Grand Tour. In pieno romanticismo, le figure arcaiche, quasi misteriose, di questi rozzi pastori con mantelli provenienti dalle montagne, nel segno di tradizioni secolari, colpìrono la fantasia e l’estro di molti artisti, poeti, scrittori ma anche musicisti e compositori.
Li venticinque novemmre 
Oggiaotto ch’è ssanta Catarina
se cacceno le store pe le scale,
se leva ar letto la cuperta fina,
e ss’accenne er focone in de le sale. 
Er tempo che ffarà quela mattina
pe Natale ha da fallo tal e quale.
Er bugiardello cosa mette? brina?
la brina vederai puro a Natale.

E cominceno già li piferari
a calà da montagna a le maremme
co quelli farajòli tanti cari!

Che belle canzoncine! oggni pastore
le cantò spiccicate a Bettalemme
ner giorno der presepio der Zignore.
  

18 novembre 1831             
(Versione. Il 25 novembre.Tra otto giorni sarà la festa di S. Caterina d’Alessandria: si metteranno le stuoie su per le scale, si leverà dal letto la coperta sottile e si accenderà il braciere nelle sale. Il tempo che farà
Zampognari,
B. Pinelli
quella mattina sarà quello che si ripeterà tale e quale a Natale. Il lunario cosa prevede? Brina? La brina la vedrai anche a Natale. E in quel giorno cominciano già i suonatori di pive e cornamuse a scendere dalla montagna alle pianure con quei mantelli rattoppati tanto cari ! Che belle canzoncine! Ogni pastore le cantò tali e quali a Betlemme nel giorno del presepe del Signore Gesù.)
La novena de Natale                                
Eh, ssiconno li gusti. Filumena
se fa vvení cqueli gruggnacci amari
de li scechi: Mariuccia e Mmadalena
chiameno sempre li carciofolari;
              

e a mmé mme pare che nun zii novena
si nun zento sonà li piferari:
co cquel’annata de cantasilena
che sserve, bbenemio!, sò ttroppi cari.

Quann’è er giorno de Santa Caterina

me pare a mmé dde diventà rreggina.

 E cquelli che de notte nu li vonno?
Poveri sscemi! Io poi, ’na stiratina,
e mme li godo tra vviggijj’e ssonno.

(23  dicembre  1844)

(Versione. La novena di Natale. Eh, secondo i gusti. Filomena si fa venire sotto casa quelle facce amare dei ciechi (che cantavano litanie e altre preghiere a pagamento). Mariuccia e Maddalena chiamano sempre i suonatori e cantori girovaghi; e a me sembra che non sia novena se non sento suonare i pifferai. Con quell’andamento da cantilena che serve dirlo, bene mio (è un’esclamazione di piacere), sono troppo amabili. 
Quando arriva il giorno di S. Caterina (il 25 novembre) e io li risento (era questo il giorno nel quale cominciavano i pifferai a suonare per le strade), io rinasco al mondo: mi pare di diventare regina. E quelli che di notte non vogliono sentirli suonare? Poveri scemi! Quanto a me, una stiratina dentro il letto, e me li godo nel dormiveglia, tra la veglia e il sonno).
................
(1) La novena è un'attività di devozione cristiana che consiste principalmente nel recitare preghiere (come il Rosario) ripetute per nove giorni consecutivi. È destinata alla preparazione a una ricorrenza solenne, come il Natale o la Pentecoste, o anche solo per richiedere particolari grazie.

11/06/23

G.G Belli e il degrado di Roma "Caput mundi"


La Roma dei tempi in cui visse G.G. Belli era ancora una città a misura d'uomo, il cui tessuto urbano si sviluppava tutto entro le mura. 

E il poeta Belli, che cambiò molte abitazioni nel corso della sua vita, abitò sempre nella bellissima Roma del centro storico. 
Nacque vicinissimo  a piazza Sant'Eustachio e a piazza del Pantheon, poi da sposato andò nel palazzo adiacente addirittura alla splendida Fontana di Trevi, poi una volta vedovo andò ad abitare in via Monti della Farina, oggi traversa di Corso Vittorio Emanuele, e infine morì in una casa, poi demolita, in vicolo dè Cesarini, oggi fra via dei Cestari e largo delle Stimmate. 
[Per approfondire il tema delle abitazioni belliane clicca qui..],

Insomma al Poeta bastava uscire di casa, fare due passi e ammirare ..la robba che ciavemo qui..., come dice a proposito dei monumenti nel Sonetto Roma capumunni.

Belli e l'amore per Roma antica.
G.G. Belli era un ammiratore della Roma antica, quella la cui grandezza si poteva ancora ammirare grazie ai tanti monumenti sparsi per la città, tutti testimonianza  di un glorioso passato. 
E chi non può esserlo!!!
Anche se il suo interesse maggiore, quando cominciò a scrivere i 2279  Sonetti, era quello di guardare ad una Roma viva, fatta di carne e non alla Roma fatta di pietra, e talvolta in parecchi Sonetti emerge un senso di orgoglio, una stupefatta ammirazione per le Mirabilia Urbis disseminate ovunque nella città. 
Casa in demolizione
in vicolo dei Cesarini,
dove G.G. Belli morì
Del glorioso passato di Roma rimangono un gran numero di rovine e monumenti, risalenti a periodi diversi, in quanto la storia di Roma è stata molto lunga, quasi più di mille anni.
Roma è stata infatti capitale di un impero universale e in seguito della Chiesa universale, crocevia di pellegrini, di papi, di vescovi e imperatori. 
«Se vvoi fa’ quello che te pare a Roma te devi fa’ prete», così un detto recitava. 

Roma caput mundi
Nell'ottobre del 1831, mentre si trovava fuori Roma, forse preso dalla nostalgia, scrive proprio uno di questi sonetti dedicati a Roma eterna
Già il titolo è indicativo: Roma caput mundi.
L'espressione latina caput mundi, riferita alla città di Roma, significa capitale del mondo noto, e si ricollega alla grande estensione raggiunta dall'impero romano tale da fare - secondo il punto di vista degli storiografi imperiali - della città capitolina il crocevia di ogni attività politica, economica e culturale .

La Roma del Sonetto. 
Nel Sonetto Roma capomunni, dopo una atteggiamento di orgoglio del romano di fronte ai grandiosi resti della millenaria e formidabile storia della sua città,  Belli fa delle affermazioni poco chiare e contraddittorie
Cita "cose meravigliose" di Roma, che però sono indicate con il termine buggere.
Cioè vale a dire che i monumenti sono fregature, i ricordati Mirabilia Urbis sono cose meravigliose, ma ingannevoli

Degrado di Roma. Forse anche Belli, in quei tempi ormai lontani, è colpito dal degrado di quella che era stata la città più bella e potente del mondo, e che invece in quei tempi accusava una sostanziale perdita d'importanza, di cui il Poeta prova molto rammarico.

E la causa di tutto ciò era da imputare agli odiati francesi. 

Di qui un aperto atteggiamento di accusa nei confronti dei francesi nella persona di François Cacault, politico e diplomatico, che fu uno dei negoziatori a Roma del Concordato del 1801 e poi ministro plenipotenziario a Roma dal 1802 al 1803.

E proprio in questo senso di decadenza, di degrado che vede nella Roma dei suoi tempi, rispetto alla Roma dal glorioso passato, che deve essere cercato il vero significato dell'uso del termine buggere.. 

Figuriamoci, se per uno scherzo del destino, G.G.Belli potesse vedere come è ridotta oggi Roma, come
F.Cacault
la definirebbe? 



Roma capomunni 
Nun fuss’antro pe ttante antichità 
bisognerebbe nassce tutti cquì, 
perché a la robba che cciavemo cquà 
c’è, sor friccica 1 mio, poco da dí. 
Te ggiri, e vvedi bbuggere de llí: 
te svorti, e vvedi bbuggere de llà: 
e a vive l’anni che ccampò un zocchí 2 
nun ze n’arriva a vvede la mità. 
Sto paese, da sí cche 3 sse creò, 
poteva fà ccor Monno a ttu pper tu,
 sin che nun venne er general Cacò. 4 
Ecchevel’er motivo, sor monzú, 
che Rroma ha perzo l’erre, 5 
e cche pperò de st’anticajje nun ne pô ffà ppiú. 

Terni, 5 ottobre 1831 - Der medemo  1. Nome di scherno. 2. Un non-so-chi. 
3. Da quando. 4 Principio della Repubblica Francoromana. 5 Perdere l’erre: perdere il di sopra, la importanza, e i simili. 

[Versione, Roma Caput Mundi. 
Non fosse altro per le tante cose antiche bisognerebbe nascere tutti qui, perchè, sor Friccica mio, c'è poco da dire alle cose che abbiamo qui. 
Ti giri, e vedi cose meravigliose di lì: ti volti, e vedi cose meravigliose  di là: e anche se si vivesse gli anni che campò non so chi sia non si arriverebbe a vederne la metà. Questo paese, da quando che è stato creato, poteva fare con il Mondo a tu per tu, finchè non venne il generale Cacault. Eccovi il motivo, signor monsignore, che Roma ha perso l'importanza, e che però di queste cose antiche non ne può fare altre.]

15/04/23

G.G. Belli e i frati cappuccini diventati criminali

Il 13 maggio 1837 a Venafro, provincia di Isernia, avvenne un fatto di cronaca che ha dell'incredibile
Fu rapito il canonico Alessandro Del Prete con il suo cocchiere da parte di una banda di frati cappuccini e laici. La banda poi fuggì in montagna dopo aver chiesto il riscatto di ben 30.000 ducati. Il canonico fu ucciso da un frate nella macchia di Torcino.  
Allora intervenne la forza pubblica, ci fu uno scontro a fuoco e i rapitori furono catturati; perquisito il convento, furono trovate armi e munizioni sotto l'altare.
Si parlò molto del fatto che i frati, insieme ai laici avessero costituito una vera e propria associazione a delinquere, diretta dal Padre Guardiano e che si nascondessero nel convento di S. Nicandro a Venafro
Il sonetto contro i frati cappuccini.
Belli rimase sicuramente molto impressionato dalle vicende criminose e, partendo da quel fatto di cronaca nera, trae anche spunto per ribadire una forte critica ai frati cappuccini.
Infatti contemporaneamente a questo fattaccio, nel maggio del 1837, il Poeta romanesco compose un sonetto dal titolo “Er fattarello de Venafro”.
Con questo sonetto si prendeva a pretesto questo rapimento  per esprimere le sue pesanti critiche ai poco amati frati cappuccini di Roma. 
Dopo la notizia di questo crimine, per paura Belli dichiarava che preferiva stare chiuso a catenaccio in casa. E comunque evitare di passare per piazza Barberini, dove era situato un loro importante convento, che conosceva bene e vedremo perchè.
Nei suoi versi Belli menziona poi il  cardinale Ludovico
Micara(Frascati 1775 Roma, 1847) , frate cappuccino, creatura di Leone XII, che aveva avuto modo di conoscere e apprezzare in passato. Per Belli il governo tirannico del cardinal Micara era assolutamente necessario per tenere a bada i terribili frati, che in tutti i sonetti, e, in particolare in questo che si basa su un fatto autentico, sono ritratti come dissoluti, immorali e indegni dell'abito.
Belli, da giovane, rimasto orfano e senza dimora, aveva avuto la possibilità di alloggiare in una stanza proprio presso quel convento dei cappuccini a via Veneto  grazie all'interessamento dell'allora frate Ludovico.

Lo apprendiamo da una lettera  indirizzata a Gaetano Bernetti *, padre del suo amico Peppe, dove parla, fra l'altro, dei favori e dell'amicizia ricevuti dal frate Micara,  diventato poi cardinale. 
In datata 3 ottobre 1816, il Belli scrive: “Ognuno sa che nel passato tempo una catena di circostanze sinistre mi aveva assoggettato alla necessità di provvedere alla mia sussistenza e al mio ricovero nel modo il più decente, ed insieme più adeguato alla povertà che mi opprimeva. I miei parenti a S. Lorenzo in Lucina mi offrirono il vitto, e mancando io ancora di un tetto che mi ricettasse, i miei parenti medesimi pregarono il suo figlio a procurarmi una camera ai Capuccini la quale ottenni di fatti mercè i buoni uffici di lui uniti agli altri, anch'essi efficaci, del Padre Lodovico Micara”. 
Micara  viene menzionato anche in un'altra lettera, datata 4 luglio 1838 e indirizzata a Giacomo Ferretti. 
Ludovico Micara
Convento dei cappuccini
a via Barberini
Cardinale vescovo di Frascati dal 2 ottobre 1837 fino al giugno 1844, Ludovico Micara era nato a Frascati il 12 ottobre 1775. Di carattere forte e intransigente, fu ordinato sacerdote nel 1798, successivamente fu arrestato sotto il governo di Napoleone, caduto il quale divenne Ministro Generale dell’Ordine dei Cappuccini e predicatore apostolico di papa Pio VII (Barnaba Niccolò Maria Luigi Chiaramonti, da Cesena). Il 13 marzo 1826 fu fatto cardinale da papa Leone XII . 

Nel giugno 1844 divenne vescovo di Ostia e Velletri. Morì a Roma il 24 maggio 1847 e per suo volere fu sepolto nella Chiesa dei Cappuccini tra Piazza Barberini e Via Veneto, dove una lapide lo ricorda.
Intanto, mentre sarebbe da far luce se si trattasse effettivamente di sequestratori, che si travestivano da frati o di frati che facevano i sequestratori, vale la pena rileggere il sonetto  “Er fattarello de Venafro”.
Er fattarello de Venafro (1)
Quanno dunque sia vero sto rifresco
che li poveri frati cappuccini
fanno mó da serafichi assassini
pe le macchie in onor de san Francesco,
d’oggi’impoi pe ssarvà ppelle e cquadrini
dal loro amor-der-prossimo fratesco
me serro a ccatenaccio; e ssippuro (2) esco
nun passo ppiú da Piazza Bbarberini(3).
E nun zerve de dimmelo (4) nemmeno
c’ar convento de Roma, o bbene o mmale,
ciàbbita (5) un Cardinal (6) che li tiè (7) a ffreno.
Pe ddavve (8) quarch’idea de li rispetti
ch’hanno pe Ssu’ Eminenza er Cardinale
ve posso aricordà li bbucaletti (9).
31 maggio 1837

[Versione. Il fatterello di Venafro.
Quanto dunque sia vero questo rinfresco che i poveri frati cappuccini da serafici assassini fanno adesso per le macchie in onore di San Francesco, da oggi in poi per salvare la pelle e i quattrini dal loro amore del prossimo fratesco mi chiudo col catenaccio; e se anche esco non passo più da piazza Barberini. E non serve di dirmi nemmeno che al convento di Roma, o bene o male, ci abita il Cardinal che li tiene a freno. Per darvi qualche idea del rispetto che hanno per sua eminenza il Cardinale vi posso ricordare i boccaletti.]
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BERNETTI, Gaetano - Patrocinatore presso il Tribunale di prima istanza di Roma (1811-1814). Abitante in via di Campo Marzo 46 (1811) ed in via Corso 51 o 151 (1812-1814). 
(1) Presso Venafro, nel Regno di Napoli. (2) Seppure;(3) Dove in Roma è il convento dei cappuccini, (4) Dirmelo,(5) Ci abita,(6) Il cardinale Ludovico Micara, cappuccino, creatura di Leone XIII.(7) Tiene, (8) Darvi, (9) Creato cardinale dal Papa, questi gli conservò la dignità di generale dell’Ordine, che poco prima egli stesso aveagli conferita, conculcando le prerogative del Capitolo. Pel governo tirannico del Cardinal generale i frati lo presero un giorno a colpi di boccali in refettorio. Ora non è più generale, ma dimora in convento.